Ottenere la sospensiva in appello è sempre un compito arduo e certamente dipende dalla consistenza dei motivi di appello.

Lo ha dichiarato benissimo la Corte d’Appello di Roma con l’ordinanza dell’08 gennaio 2020, in un giudizio a mio patrocinio, ove, addirittura, il Secondo Giudice ha ritenuto «assorbente la valutazione sul cd. fumus boni iuris» rispetto al comunque invocato periculum in mora.

Questo orientamento è particolarmente interessante perché si concreta sostanzialmente in una valutazione prognostica dei motivi di appello; aggiunge la Corte, in altro passaggio di analogo rilievo, che “è necessaria una approfondita rivalutazione del materiale probatorio documentale”.

L’ordinanza in commento ha un contenuto, come dire, di discontinuità rispetto ad orientamenti maggiormente “seriali” che, invece, prevedono la necessità che siano integrate entrambe le condizioni per l’inibitoria (e cioè il fumus boni iuris e il periculum in mora).

L’ordinanza suindicata, invece, appare rispondente alla necessità di una valutazione globale di opportunità di inibire l’esecutività della sentenza di primo grado (cfr. sul punto Cass. 25 febbraio 2005 n.4060).

Orientamento questo che appare certamente più rispondente alla nozione di « gravi motivi» indicati nell’art. 283 c.p.c.

Altre sezioni della Corte d’appello di Roma, invece, valorizzano l’opportunità di valutare sia la ricorrenza del fumus boni iuris con l’obbligatorietà del periculum in mora.

In altra ordinanza del 3 marzo 2015 di accoglimento dell’inibitoria, sempre in un procedimento a mio patrocinio, è stata valorizzata la necessità di un maggior approfondimento dell’identificazione dei crediti ceduti con un ramo d’azienda (questione coincidente con un motivo di appello), unitamente ad altra distinta valutazione del periculum in mora, ritenuto sussistente in ragione anche della documentata incapienza delle società vittoriose in primo grado.

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